martedì 3 gennaio 2023

MCR e dintorni, tra Football & Punk

 Ormai, quasi senza rendercene conto, dividiamo gli avvenimenti delle nostre vite in due ere diverse, quella dell’“Avanti Covid” e quella del “Dopo Covid”, cosa che era successa in passato solo per la venuta di qualcuno di più “Divino”, spesso parlando tra di noi diciamo “prima del covid” o “dopo il covid”… come se questo brutto e tragico periodo ci avesse segnato per sempre e probabilmente così purtroppo lo è per davvero. Ed allora eccoci speranzosi che questo “Dopo Covid” resti tale ed intenti a tornare alla vita “normale”, quella che era prima del Covid, e se parliamo di vita normale, parliamo anche di viaggi, cerchiamo di fare più cose possibili per cercare di colmare in qualche modo quel lungo e brutto periodo che purtroppo per molti non finirà mai nel ricordo di tanto dolore e di tante tragiche perdite.

E così ecco che anche io mi ritrovo alle prese di questa incontenibile voglia di tornare nei posti che più amo e, dopo una breve visita londinese di qualche mese fa, stavolta ho voluto andare lì dove il cuore mi chiedeva di portarlo da troppo tempo, tra quel periodo che tutti vogliamo dimenticare e qualche partita in trasferta, mi sono reso conto che mancavo da tre lunghi anni dal posto che mi aveva adottato, da quel posto in cui non c’è niente di così attraente agli occhi di molti forse, ma un posto dove ci sono degli amici, un posto che mi fa stare bene, un posto che amo.

Preston.

E Preston per me significa anche e soprattutto Preston North End e di conseguenza amici, affetti, emozioni, ricordi, gioie e dolori unite insieme in sensazioni uniche da portarsi dentro per il resto dei giorni.

Organizzo tutto bene mesi prima, ed ho in mente qualcosa di speciale per me, voglio fare qualcosa che fino ad ora mi ero imposto di non fare per non essere troppo egoista nei confronti della mia compagna di viaggio (e di vita), che in questa occasione si è però dovuta rassegnare percependo i miei sentimenti e quell’irrefrenabile desiderio di colmare un vuoto che mi sentivo dentro.

Fatto sta che pochi giorni prima di partire, nonostante l’organizzazione scrupolosa del viaggio, le uniche certezze che avevo erano il giaccone pesante della Berghaus, le Adidas Manchester 89 Spezial e la mia voglia di partire, ma anche queste erano messe a repentaglio dalle piste ghiacciate negli aeroporti, oltre agli scioperi dei treni in UK proprio nei miei giorni della nostra permanenza lì, le partite di calcio a rischio rinvio a causa della neve, il gelo che sta paralizzando il Regno Unito in questi giorni (così dicevano i telegiornali italiani con una certa tendenza ad esagerare) ed il ritardo nella consegna da parte del corriere di un nuovo paio di Adidas comprate proprio pensando a questo viaggio, le Moss Side (e dal colore di queste dipendeva anche la scelta di altri capi da abbinare…) che come sapete è una zona proprio della nostra prima città di destinazione.

Manchester.

E Manchester per me, e non solo per me, significa soprattutto Joy Division, Factory, Tony Wilson, Hacienda, Punk e football, tutto quello di cui mi sono ritrovato a scrivere nei miei romanzi “Una Nuova Alba” e “No Love Lost”.

In ogni caso alla fine tutto sembra risolversi, in valigia ci sono anche le Moss Side, nonostante lo sciopero dei treni annunciato per il venerdì ed il sabato, abbiamo trovato delle alternative per muoverci, l’aereo parte ed atterra regolarmente di giovedì sera anche se una famosa applicazione meteo ci accoglie a Manchester con una parola alquanto inquietante “Gelicidio”, sono pronto al freddo, preferisco le temperature invernali a quelle estive, ma questa definizione ci fa immaginare ad una città bloccata dal gelo ed invece nulla di tutto questo.

Da Manchester Airport il treno ci porta a Manchester Piccadilly dove in pochi minuti raggiungiamo a piedi (senza scivoloni nonostante le Manchester 89 non siano esattamente adatte alle strade ghiacciate ed ancor meno lo saranno le Moss Side!) l’albergo, un breve riposo e poi siamo pronti a gustarci la prima birra in questa avventura mancuniana nel “Dopo Covid”, andiamo nel vicino Wetherspoon ed ho però una piccola grande delusione… vado al bancone tutto sicuro e, dopo aver ordinato un “Bangers and Mash”, salsiccia e purè di patate in pratica, chiedo con un certo orgoglio e spavalderia una Boddington (senza nemmeno guardare le birre esposte) per poi scoprire che il ragazzo al di là del bancone non la conosce nemmeno e che ovviamente non ce l’hanno… mi prendo una Abbott di consolazione, ma non capisco, in passato amici di Preston me la avevano presentata come la “birra di Manchester”, addirittura me l’avevano fatta trovare a sorpresa in albergo a Bolton qualche anno fa, mi piace berla, ma ammetto di non essere un esperto ed avevo quindi sempre dato per scontato che qui l’avrei trovata in qualsiasi angolo della città, ma poi vorrò andarci a fondo a questa questione nei giorni successivi.

La serata è piacevole, mi piace anche solo star lì a guardare quei ragazzi, il loro modo di parlare, di gesticolare, la quantità di birra che bevono, l’arredamento mai banale del pub, il buio fuori, il calore dentro, gli odori, i suoni, le voci, la gente che viene e che va.












Il giorno seguente, dopo la classica “English Breakfast”, anche a causa dello sciopero dei treni, restiamo a Manchester, e non è certo una soluzione di “ripiego” perché ovviamente Manchester è Manchester, MCR e la sua ape che trovi dappertutto, segno di identità, di orgoglio e di appartenenza a questa città rispolverato alla grande soprattutto dopo il triste attentato di qualche anno fa, il freddo c’è, impossibile negarlo, ma niente a che vedere con il gelicidio annunciato e poi il Berghaus Pole 87 è un fedele compagno di viaggio in questi casi, ci imbattiamo dapprima nei mercatini di Natale, che poi si rivelano dei “mercatoni” dato che in pratica ci accompagnano per tutto il centro città, mi piace vedere la gente del posto, le loro bancarelle così diverse da quelle che troviamo dalle nostre parti, la loro simpatia, il loro “british humor” (che nel proseguo del viaggio non sempre apprezzerò e poi ne capirete il motivo), ci sono così tanti oggetti curiosi che potremmo sistemarci con tutti i regali da fare ed ancora in sospeso.









Poi però compare Market Street e quindi anche Size?, il famoso negozio specializzato in trainers ed in lanci di modelli esclusivi di Adidas, ce ne sono davvero tante che fino a quel momento avevo visto solo in foto, ma faccio un grande sforzo a non comprarne nemmeno un paio, ho appena preso le Moss Side, che indosso proprio in quel momento, ed il bagaglio a mano ne risentirebbe parecchio… ma poi nel centro commerciale “Arndale”, non ho lo stesso spirito rinunciatario ed acquisto da “Scotts” un giubbetto giallo realizzato in collaborazione dalla “Umbro” e dalla “GioGoi”, un brand di Manchester che omaggia in modo particolare l’era dei rave, di Madchester, degli Stone Roses, degli Happy Mondays ed anche questo capo non nasconde la sua attinenza a certi aspetti che riguardano quel mondo.







Si prosegue poi in diversi negozi come “HMV”, dove ci sono parecchi vinili interessanti, ma per questi ho in mente altro, ovviamente Pretty Green, brand lanciato da un certo Liam Gallagher, un tipaccio del posto… oltre ai classici Doc Martens, JD, Forsyth (negozio di strumenti musicali) e l’immancabile libreria “Waterstone” dove comprerei di tutto.




Ai mercati di Natale ci gustiamo un caldo e buonissimo “Mulled Wine” in pieno spirito natalizio ed utilissimo per scaldarci, e poi arriviamo alla zona dei pub più famosi del centro, l’Old Wellington ed il Sinclair’s Oyster Bar, bellissimi nel loro stile Tudor, sarebbe però troppo azzardato anche per me fermarmi per una birra, proseguiamo quindi fino al National Football Museum, ci vorrebbe troppo tempo per visitarlo, così lo oltrepassiamo con qualche rimpianto e poi arriviamo al negozio “Classic Football Shirts” in Deansgate, un paradiso per gli appassionati di maglie di calcio storiche, c’è davvero di tutto e si potrebbe restare lì per ore, proseguiamo poi verso la prossima meta, sulla strada trovo anche il negozio “Black’s”, non sapevo avesse una sede qui, ci ho comprato online un paio di volte, si tratta di abbigliamento da montagna, ma qui puoi trovare anche i giacchettini antipioggia come quelli della Peter Storm diventati celebri negli ambienti “casuals” per via del film “Awaydays” anche se ormai si trovano solo quelli moderni e non i modelli classici degli anni 70-80 che ho comunque avuto la fortuna di trovare su Ebay tempo fa.
























La tappa di cui parlavo si trova in Whitworth Street ed è il luogo dove sorgeva la mitica Hacienda, nightclub aperto ad inizio anni 80 da Tony Wilson, già proprietario dell’etichetta discografica “Factory Records” con la quale lanciò band come i Joy Division e gli Happy Mondays, in collaborazione con i “New Order”, e quando in lontananza riconosco quell’edificio mi vengono i brividi per davvero, oggi lì dentro ci sono degli appartamenti, non c’è praticamente nulla da vedere e che ricordi quello che c’era lì una volta, ma mi basta l’immaginazione e vedere una semplice targhetta posta vicino all’ingresso e la scritta “Hacieda Apartments” per essere soddisfatto, il solo fatto di essere lì è un’emozione per me. Ovviamente facciamo delle foto, scoprirò qualche giorno dopo da un amico inglese che qualcuno si diverte a fotografare le persone che posano davanti alla vecchia Hacienda, c’è un sito/pagina social che riporta tutte queste foto infatti.






















Ancora emozionato e forse incoscientemente un po’ deluso per non aver trovato altri riferimenti al vecchio Club (già lo sapevo, ma chissà perché mi ero illuso di poter trovare qualcosa di più) mi convinco a tornare verso il centro città per poi portarci verso Oldham Street dove, dopo essere stati al negozio di Fred Perry, ci rechiamo con altri carichi di emozioni verso il “Piccadilly Records”, negozio di dischi storico e che mi affascina parecchio per il fatto di aver ambientato lì una scena importante di uno dei miei libri.

Il negozio è bellissimo e pieno di riferimenti storici e, quello che conta di più, molto ben fornito, alla fine ci restiamo dentro parecchio tempo perché ne sono affascinato anche se poi non so nemmeno che disco comprare, c’è l’imbarazzo della scelta, ma un paio di dischi che chiedo non li hanno… ed allora vado sul sicuro con una raccolta contenente dei mix ed effetti sonori che Martin Hannett, famoso produttore discografico, fece durante delle registrazioni di prova dei Joy Division.







Dopo una breve pausa in hotel nel tardo pomeriggio ci portiamo in Princess Street per andare al locale “Factory 251”, abbiamo infatti due biglietti per il concerto della band post punk tedesca “Pink Turns Blue”, a dire il vero durante la programmazione del viaggio avevo pensato di andare ad ascoltare i “The Chameleons”, storica band proprio di Manchester, ma il loro concerto sarebbe stato il sabato e per quel giorno abbiamo altri progetti e non a Manchester.

In ogni caso, nonostante non distante da lì avrebbe anche suonato Miles Kane, appena ho scoperto che in questo locale avrebbe suonato una band post punk, pur non conoscendola bene, mi sono subito incuriosito ed ho acquistato i biglietti dopo aver ascoltato qualche loro canzone che mi ha convinto a farlo, ma soprattutto ero eccitato dal fatto di andare alla “Factory 251”, un locale interamente ristrutturato nel 2010 per ospitare eventi live e serate musicali e che una volta era stato sede degli uffici della leggendaria Factory Records, già, proprio qui ci venivano Tony Wilson, Martin Hannett, Rob Gretton e magari pure i Joy Division, se ho ben capito tra i proprietari di questa “join venture” c’è anche Peter Hook, bassista prima dei JD e poi dei New Order, certo, non è il Russell Club ad Hulme dove si svolgevano i concerti organizzati dalla Factory, ma comunque qui, appena ci entro, si respira l’atmosfera giusta, sembra davvero di essere negli anni 70-80, il locale ed il palco sono davvero piccoli, c’è solo un servizio bar, senza la possibilità di mangiare, ed è molto spoglio anche se non manca qualche piccolo dettaglio che fa riferimento alla Factory, come il famoso logo con il disegno che riproduce una fabbrica con del fumo che esce dai forni di produzione o le classiche strisce gialle e nere che richiamano invece soprattutto l’Hacienda.

Inizialmente c’è davvero poca gente e tutti se ne stanno al bancone del bar o comunque indietro rispetto al palco anche quando inizia a suonare la prima band di supporto, i “Kanaxis & Mercury Machine” che non attirano particolari attenzioni, poi però arrivano gli “Hapax” ed il pubblico, composto più che altro da gente vestita dark, mi rendo conto di essere l’unico ad indossare un maglione azzurro, pantaloni beige ed Adidas colorate ai piedi, inizia ad aumentare ed a portarsi verso il palco, ed allora penso di non farmi fregare, essendo lì sin dall’inizio, e ci mettiamo così proprio sotto il palco in posizione centrale sorseggiando una buona e fresca birra.







Gli “Hapax” suonano davvero bene, mi coinvolgono parecchio e devo dire che mi piacciono, non li conoscevo per niente ed una volta poi tornato a casa ho scoperto che sono italiani… che coincidenza e nemmeno lo sapevo… in ogni caso riscuotono successo e dopo diversi brani si prendono i meritati applausi ed intorno alle 21 lasciano il posto sul palco agli attesissimi “Pink Turns Blue”, una band tedesca nata a metà anni 80, ma che sembra in tutto e per tutto una band inglese, forse addirittura di Manchester, il loro stile si avvicina al sound dei Joy Division, è un post punk puro, come piace a me.



E non deludono, suonano per circa 1 ora e mezza rispolverando i loro vecchi successi mischiati con pezzi del nuovo album appena uscito, tra i miei preferiti ci sono “Walking on both sides” e “Missing you”, essendo lì proprio davanti mi godo in pieno lo spettacolo, mi sembra davvero di essere uno dei personaggi dei miei libri, Damon, quando, proprio come me in quel momento, andava a quel tipo di concerti, per qualche ora mi sento trasportato negli anni ‘80, e più precisamente nella Manchester degli anni ’80, un sogno bellissimo, chiudo gli occhi per un attimo e mi immagino di essere davvero in quell’epoca, il clima che si crea in questi ambienti è sempre fantastico, un paio di persone ci salutano ed abbracciano come se ci conoscessimo da tempo ed invece è solo l’adrenalina, la gioia di essere lì coinvolti in tutto questo, lo spirito comune di volersi divertire in modo semplice, con della buona musica e con gente che condivide le stesse passioni e che vuole vivere quelle stesse emozioni.








Quando finisce, dopo aver acquistato un disco ed una maglietta dei “Pink Turns Blue” e dopo essermi scattato una foto alquanto stupida in cui mostro il mio giaccone Berghaus con interni rosa ed esternamente blu, facendo riferimento ovviamente al nome della band, possiamo andarcene, ma non senza una certa nostalgia, sono soddisfatto e contento, ma non mi sento del tutto appagato, vorrei vivere così, almeno ogni venerdì sera, non so se mi basta solo questo venerdì sera.




Senza aver cenato andiamo in albergo, il concerto è iniziato e finito presto perché alle 22.30 la Factory 251 diventa poi un club con musica diffusa e già infatti c’erano ragazzi pronti ad entrarci per passare lì la loro serata, mentre noi cerchiamo di riposare, dopo un cappuccino in camera fatto con caffè solubile ed un goccio di latte con qualche biscotto, domani sarà un altro giorno. Anzi, il giorno.

A causa dello sciopero dei treni sarebbe stato complicato andare a Preston con i bus, avremmo dovuto cambiare a Bolton e ci avremmo impiegato un sacco di tempo, sempre se ce ne sarebbero stati negli orari che ci sarebbero serviti, ma per fortuna in tutti questi anni qualche buona e vera amicizia a Preston me la sono fatta, almeno tre persone si erano infatti offerte di venirci a prendere in macchina, alla fine è arrivato James, un ragazzo la cui famiglia è originaria delle zone di Preston, ma che è nato e cresciuto in Italia, prima di trasferirsi a sua volta proprio lì, per la precisione nel piccolo villaggio di Ribchester.

Il gentilissimo James, ormai un inglese perfetto nei modi di fare e nelle abitudini (non me ne vorrà se descrivo la sua macchina come disordinata e confusionaria, ma almeno ho notato che ci ha appiccicato un adesivo del North End, la batteria del suo telefono è al 15% mentre la mia la 100% ed ho anche due caricabatterie portatili), arriva a prenderci proprio in albergo e così dopo l’abbondante solita colazione ci mettiamo comodamente in macchina, è sempre strano sedersi sulla sinistra essendo un passeggero, ma ci si abitua subito dopo aver percorso pochi chilometri, piove, fa freddo, le strade sono piene di sale, mi emoziono anche solo alla vista di cartelli stradali che indicano i nomi delle città e ad ognuna associo la sua squadra di calcio, anche a quelle più piccole che hanno solo un Club di non league come ad esempio Atherton e mi viene subito in mente l’Atherton Collieries.

Il tragitto dura poco più di mezz’ora durante la quale chiacchieriamo con James della sua vita a Ribchester, del PNE e della giornata che ci aspetta, a dire il vero ancora non sappiamo come poi torneremo a Manchester quella sera dato che i litri di birra in corpo potrebbero spingere il nostro amico a non avventurarsi alla guida, ma a quello ci penseremo dopo, adesso sta per iniziare quello che possiamo definire il “Match Day” o meglio, per ora il “Pre-Match”. Arriviamo a Preston, ed anche qui le emozioni sono tante nel rivedere questi posti, parcheggiamo in zona Moorbrook, non distante dallo stadio per avere poi la macchina già lì pronta a fine giornata, ed andiamo a piedi verso il centro dove abbiamo appuntamento con degli amici, i primi ad accoglierci sono Mark e Christine che, come ci eravamo già accordati, ci accompagnano gentilmente al vicino “The Warehouse”, un club ancora funzionante, dove nel 1980 ci suonarono i Joy Division, era un mio grande desiderio vederlo, anche solo esternamente, a quell’ora è infatti ovviamente chiuso, e farmi scattare qualche foto con la mia nuova piccola bandiera che recita proprio “Joy Division, Preston 28 February 1980” e che raffigura un’immagine di Ian Curtis.







I nostri amici sono gentilissimi e ci raccontano di alcune serate passate da giovanissimi in quel locale che a quanto pare è proprio un posto storico per la città di Preston ed ancora oggi un punto di riferimento per le serate dei ragazzi, addirittura scopriamo che la strada che stiamo percorrendo e che porta alla chiesa “Preston Minster” è l’ultima in tutta la città ad essere ancora ciotolata.

Andiamo poi a pub “Twelve Tellers” dove incontriamo altri tifosi del Preston NE e qui si può ufficialmente iniziare la giornata del football, il nostro “When Saturday Comes”, tra birre, risate, strette di mano e pacche sulle spalle, tutto all’insegna della nostra squadra del cuore, mi sento di nuovo finalmente a tutti gli effetti uno di loro e mi fa piacere sentire il loro calore, la loro amicizia, quanto è diverso vivere così il giorno della partita piuttosto che viverlo da casa davanti ad un computer, quanto mi mancavano queste sensazioni.







Il tempo, come sempre quando ci si diverte, passa velocemente ed allora è proprio il momento di salutare tutti e di andare a piedi verso lo stadio, la partita, come da tradizione al sabato, inizierà alle 15, mancano pochi minuti quando intravedo i riflettori di Deepdale, la casa del football.  Capisco di essere davvero lì quando sento urlare il classico “Program! Program” ed acquisto il classico Match Program. Altre emozioni. Ricordi, immagini che scorrono nella mia mente, sono agitato, per la partita, per le sensazioni, ma anche perché mi rendo conto che entreremo in ritardo, infatti al Ticket Office, dove dobbiamo ritirare i biglietti acquistati on line, c’è una fila abbastanza lunga da farci capire che non sentiremo cantare “Can’t Help Falling in Love” mentre le squadre faranno il loro ingresso in campo. Allo stesso tempo però sono quasi felice, perché sento di vivere la partita come un comune tifoso inglese che arriva all’ultimo momento senza l’ansia di dover arrivare molto prima per fare foto, per andare allo shop, per prendere posto con calma, ci siamo goduti il pre partita con birre e chiacchierate, questo è quello che per me conta, condividere questi momenti con i tifosi, i primi anni che ci venivo la vivevo diversamente, arrivavo molto prima allo stadio e facevo pure le foto con i giocatori che arrivavano a Deepdale con le loro macchine, entravo prima sugli spalti per godermi tutto sin dall’inizio, adesso, già da qualche anno a dire il vero, preferisco viverla così, stare con i tifosi, la vera anima di ogni Club di calcio, fare nuove amicizie, tenere strette quelle già assoldate, piuttosto che cercare di “farmi conoscere” dai giocatori che alla fine si mettono a disposizione per una foto o un autografo, ma che poi mai si ricorderanno di te.




Portandoci verso il nostro settore noto ammiro il murales dedicato alla storica squadra femminile del PNE, chiamata “Dick Kerr’s Ladies”, che giocò a Deepdale tra il 1917 ed il 1965, spesso anche con scopi benefici durante le Guerre, e che ebbe grande successo e seguito da parte del pubblico.




Quando attraversiamo i tornelli che ci portano a salire verso la “Alan Kelly Town End”, il settore più caldo della tifoseria del PNE che in Italia chiameremmo “Curva”, l’adrenalina sale per davvero e la sento forte dentro di me, appena vedo Deepdale dentro, gli spalti pieni, il terreno di gioco, le squadre già in campo, i tifosi che imprecano o incitano, capisco di essere lì per davvero, prendiamo i nostri posti, gli unici tre vicini trovati in pratica in tutto il settore al momento dell’acquisto, siamo seduti, ma l’obiettivo sarà quello di portarci nel secondo tempo più indietro, dove si può stare in piedi e dove ci sono i ragazzi che lanciano i cori e che suonano il tamburo.











Devo dire che la partita, almeno il primo tempo, non è il massimo e sono gli ospiti, i londinesi del Queens Park Rangers, a giocare meglio ed a farsi maggiormente pericolosi, ma quasi nemmeno me ne rendo conto, sono troppo occupato a guardarmi intorno, a sentire i rumori, i suoni, i cori, le grida di disapprovazione, qualche incitamento, vedere tifosi che vanno e vengono dal punto ristoro (non si possono portare le birre sugli spalti) e qualcuno che ci va poco prima della fine del primo tempo per arrivare prima della ressa; una mossa in effetti intelligente, infatti noi ci andiamo nel corso dell’intervallo, ma siamo disposti a fare una lunga fila pur di avere la nostra “Butter Pie”, una specialità di Preston, un classico anche qui allo stadio.

Dopo la lunga attesa arriva il nostro turno… la “Butter Pie” è terminata naturalmente, ripieghiamo allora sulla comunque ottima “Chicken Pie”, un tortino, o pasticcio, bollente con un ripieno di pollo e qualche altra cosa (o schifezza direi) che ammetto a casa non avrei mai mangiato… ma qui tutto si può fare, torniamo, ovviamente a partita iniziata, nella Town End e troviamo posto in alto, dove si sta in piedi e si canta, riconosco e saluto qualche ragazzo già visto in precedenti partite e con i quali ci si sente tramite i social, ora, qui, mi sento ancora meglio e mentre mi scaldo dal freddo gelido con il delizioso tortino vedo la squadra faticare e poi subire il gol dello 0-1. Imprecazioni, ma poi subito incitamento alla squadra, ci si scalda per un semplice cross, appena la palla arriva nei pressi dell’area avversaria i tifosi si esaltano, mi ritrovo a cantare ed a divertirmi facendomi coinvolgere da questo spirito positivo.




Ormai manca poco alla fine del match, i ragazzi in campo ci provano a pareggiare, ma nonostante un paio di buone occasioni non riescono a segnare, ammetto di restare un po’ deluso nel vedere la Town End svuotarsi ancor prima del fischio di inizio, nemmeno quelli nel settore più “caldo” dove si cantava aspettano, restano lì in pochi, compreso il ragazzo con il tamburo, devo dire che questo in una curva italiana non si sarebbe visto, da quello che so e che ho vissuto gli Ultras non sono soliti a lasciare il loro posto prima della fine. In generale, ma già lo sapevo, il tifo non è stato eccezionale, spesso partono cori improvvisati e che nemmeno in tanti seguono, non c’è una vera e propria organizzazione e dei tifosi addetti a lanciare cori ed incitamenti alla squadra, e spesso l’atmosfera ne risente parecchio, ma questo, si sa, è lo stile british, mancano anche bandiere e striscioni e sono proprio io l’unico a fine partita ad esporre una pezza dei GBS, il Fans Club Italiano del PNE che ho fondato nel 2010, per scattare qualche foto, non è mia abitudine mettermi in mostra o voler far vedere che sono italiano ed infatti ormai lo stadio è vuoto, ci sono solo gli stewards che gentilmente ci invitano poi verso l’uscita.





Ed allora posso dare solo un ultimo veloce sguardo al campo ed agli spalti, saluto Sir Tom Finney, Bill Shankly ed Alan Kelly, leggendari giocatori del passato del Club i cui volti sono riprodotti sui seggiolini dei diversi settori a loro dedicati, scendiamo le scale e ci ritroviamo fuori e penso che è già finita, sembra essere durata così poco e nemmeno do troppa importanza alla inaspettata e deludente sconfitta, e pensare che le aspettative erano alte dato che il sabato precedente avevamo vinto nettamente ad Ewood Park uno dei nostri derby contro il Blackburn Rovers.








Una veloce visita allo shop, ma è talmente pieno che decidiamo di non acquistare niente, passiamo per un saluto dalla statua di Sir Tom Finney, guardiamo la facciata esterna dello stadio illuminata di blu dove ci sono in risalto il logo del Preston North End ed il volto sempre di lui, della leggenda Tom Finney, e diamo davvero l’ultimo arrivederci a Deepdale, il cartellone che indica il giorno della partita ed il nome della squadra avversaria e già stato cambiato e riporta già i dati del prossimo turno casalingo e ci fa capire che è davvero finita. La partita intendo.









Perché adesso è tempo di “Post Match”. Ed è la parte più bella di tutta la giornata.

Andiamo a piedi al “The Moorbrook Inn” ed appena apriamo la porta ci troviamo lì in mezzo ad una ressa incredibile due amici “storici” come Ian e Trevor, saluti, abbracci e, manco a dirlo, birra offerta per tutti, ed è proprio a Trevor che chiedo come mai non si trova la Boddington a Manchester così come, lo avevo notato anche nel pub del pre-match, a Preston, era proprio stato lui infatti negli anni indietro ad offrirmela sempre ed a considerarla tra le migliori e tipiche di queste zone, mi spiega che è in effetti un po’ decaduta e che ora è quasi impossibile trovarla nei pub, me ne rammarico, come immagino anche lui, perché ci piaceva parecchio.

Inizia comunque la parte più divertente del nostro “When Saturday Comes”, dopo essere stati in piedi per circa mezz’ora a chiacchierare in mezzo all’andirivieni della gente, ogni tanto qualcuno mi saluta ed è bellissimo sentirsi a casa, vediamo che un tavolo si è liberato, ci accomodiamo e vado al bancone ad ordinare qualche pizza, infatti questo pub è conosciuto a Preston per fare un’ottima pizza con forno a legna e da italiani non possiamo fare a meno di mangiarla come avevamo già fatto anni fa. Il ragazzo al bancone mi dice che però entro mezz’ora dovremo liberare il tavolo dato che è stato prenotato per le 19, quando lo dico a Trevor lui non fa altro che prendere il biglietto della prenotazione e spostarlo su un altro tavolo più piccolo da poco liberatosi… problema risolto ed abbiamo così il tavolo disponibile per tutta la serata!

Poco dopo si aggiunge al tavolo anche un altro amico di vecchia data, Steve, e la compagnia, anche grazie alle birre, si fa sempre più piacevole e divertente, noto che James cerca di trattenersi dal bere, gentilmente ha infatti deciso che ci riporterà in macchina a Manchester. Good lad!

Si parla di tutto e di più, ma dal punto di vista calcistico la giornata va sempre peggio, infatti dopo la sconfitta del PNE assistiamo in televisione alla vittoria dei Rovers a Carrow Road contro il Norwich, a preoccuparsi più di tutti è James dato che Ribchester è un “feudo Rovers” ed il giorno dopo non sarebbero di certo mancati gli sfottò nei suoi confronti!

Le pizze si confermano molto buone e come prevedibile non mancano le battute e quindi il detto “Win or lose we booze” (più o meno “che si vinca o si perda noi ci ubriachiamo”), diventa “Win or lose Italians having pizza” (“che si vinca o si perde gli italiani mangiano la pizza”), la magnifica serata mi ripaga dalla delusione per la sconfitta e quando è ora di tornare a Manchester la nostalgia comincia già a farsi sentire, salutiamo i nostri amici, quelli di sempre, quelli che ci sono sempre, dandoci appuntamento per la prossima.











Domenica è l’ultimo giorno, ma avendo l’aereo in serata non voglio di certo sprecarlo e di buona mattina prendiamo il treno, lo sciopero almeno oggi non c’è, da Manchester Piccadilly con direzione Macclesfield, c’è una cosa che devo e che voglio fare e stavolta non posso farmela sfuggire.

Il breve tragitto è comunque piacevole, amo andare in treno in UK guardando i paesaggi scorrere attraverso il finestrino, quando si passa da Stockport la tentazione di scendere è tanta, ma la città e pure lo stadio (dove si svolgono la maggior parte delle vicende dei personaggi dei miei libri) li avevo già visitati qualche anno fa, devo resistere e proseguire per raggiungere il vero scopo di oggi, se non addirittura dell’intero weekend in terra inglese.

Arriviamo a Macclesfield, c’è un vento gelido, un po’ di pioggerellina con acqua che pare ghiacciata e la stazione è deserta, un po’ proprio come in quella scena di “Green Street” quando i protagonisti pensano di trovare facilmente un taxi ed invece non c’è nessuno, sì, era proprio Macclesfield se ricordate bene. Comunque a me non dispiace, su un ponticello che attraversa la ferrovia domina una scritta colorata con il nome della città ed attraversando quello stesso ponte troviamo delle immagini che ripercorrono la storia della città, mi fa piacere vedere che l’anno 1874 viene indicato per la fondazione del Macclesfield FC, mentre il 1979 viene citato per l’uscita dell’album “Unknown Pleasures”, ovviamente dei Joy Division, raffigurati anche in una foto dell’epoca; e sono proprio i Joy Division il motivo della nostra visita a Macclesfield, o meglio, il motivo più precisamente è Ian Curtis, come saprete il cantante della band purtroppo suicidatosi nel 1980, che è cresciuto proprio qui, ci ha abitato con sua moglie Debbie e le sue ceneri sono deposte proprio nel cimitero cittadino.









Nonostante il vento ed il freddo ci incamminiamo verso il centro città, si deve percorrere una breve salita, poi si arriva alla Cattedrale, la St Michael Church, che ci accoglie con un incessante suono delle campane, è domenica e il centro cittadino è animato dai mercatini di Natale, anche se molti degli espositori sono impegnati a non far volare via le proprie bancarelle e le varie oggettistiche, ci sono diversi negozi e ci ripariamo da Waterstone dove resisto dal non comprare un voluminoso libro dedicato alla storia della Factory e della Hacienda, sarebbe problematico farlo stare in valigia.













Usciti dal negozio intravediamo per la prima volta in lontananza il murale dedicato ad Ian Curtis, ce ne era uno anche a Manchester fino a qualche mese fa, ma purtroppo è stato poi sostituito da un altro, ci incamminiamo ed avvicinandoci lo trovo bellissimo anche se resto un po’ sorpreso e deluso nel vedere che è disegnato in pratica sulla facciata superiore di un negozio di alimentari. In ogni caso è un bellissimo omaggio ad Ian e non mi faccio scappare l’occasione di ammirarlo e di scattare delle foto, la gente passa via senza nemmeno guardarlo, per loro è ovviamente una cosa abituale e normale, ma non riesco ad immaginare me stesso passare via da lì senza dargli un minimo sguardo, nemmeno se lì ci vivessi.








Proseguiamo la nostra “missione” in cerca del numero 77 di Barton Street dove c’è la casa in cui Ian e Debbie hanno vissuto i loro anni insieme, sembrano tutte uguali, le stesse mattonelle, le porte colorate, poi un simpatico signore a passeggio, nonostante il gelo, con il suo cagnolino (ci chiediamo chi glielo faccia fare a lui che abita lì in zona) ci chiede se stiamo cercando l’abitazione di Ian Curtis e gentilmente ce la mostra, non c’è nessunissimo riferimento che faccia capire che sia proprio quella e probabilmente ora è abitata e quindi non c’è nessuna possibilità di visitarla, di entrarci, non c’è nemmeno una targhetta e nient’altro (beh effettivamente per chi ci abita è meglio così), poi il gentile signore ci accompagna lì vicino e ci indica il luogo in cui Ian ha lavorato, un’agenzia per il lavoro dove ora ci sono degli appartamenti, qui almeno c’è una targa con il disegno della copertina dell’album “Unknown Pleasures”, mi fa piacere, perché sembrava che proprio a nessuno interessasse di Ian qui nonostante ci abbia vissuto. Continuiamo la camminata ed il signore, che scopro essere tifoso del Macclesfield ed amico di Ched Evans, giocatore del PNE (sarà vero??), ci porta a vedere un vecchio pub ora chiuso dove probabilmente Ian andava a farsi qualche birra ogni tanto e ci conferma che le scene del film “Control”, che narra la storia di Ian e dei Joy Division, sono state proprio girate qui in queste strade, poi ci indica la strada per raggiungere il cimitero, il percorso è più lungo e lui pensa bene stavolta di tornarsene nel caldo di casa sua lasciando a noi il completamento della missione.














Effettivamente la camminata non è breve e diventa quasi un’impresa raggiungere il cimitero a causa del freddo, delle strade ghiacciate e soprattutto del vento, rischio di perdere un paio di volte il cappellino Aquascutum, poi ci arriviamo, ma la vera impresa ora è quella di trovare il luogo esatto in cui sono deposte le ceneri di Ian, direi del povero Ian visto che qui nessuno sembra dargli importanza o forse è un modo per considerarlo come un cittadino normale, uno qualsiasi, infatti non c’è nessunissima indicazione, la cerchiamo attraverso google maps ed una cartina che mi ero stampato trovata in internet, ma l’impresa è sempre più ardua anche perché alcune tombe sono in parte ricoperte dalla neve ghiacciata.






Quando stiamo per arrenderci sento qualcuno parlare, sono dei giardinieri (ed anche qui penso se con questo freddo non farebbero meglio a rimandare il loro lavoro domenicale), mi dirigo verso i due ragazzi e chiedo informazioni sulla “Ian Curtis Memorial Stone”, la risposta è sorprendente… non sanno chi sia, gli parlo dei Joy Division, gli cito la canzone più famosa “Love will tear us apart” ed ancora niente, poi per fortuna uno di loro mi suggerisce di chiedere al loro capo, un uomo più adulto, lui sa bene chi è Ian, ma è qui che, come avevo anticipato, il british humor mi ha spiazzato, infatti alla mia richiesta di sapere dove si trova Ian Curtis (ovviamente intendendo la sua tomba) la macabra ironia di questo signore gli fa dire “Mi dispiace, ragazzo, ma temo che Ian sia morto”, mi lascia senza parole, poi scoppia a ridere, ma io non riesco a fare lo stesso, ma comunque poi ci indica il punto esatto ed alla fine dobbiamo ringraziarlo per averci fatto finalmente raggiungere la tomba, una tomba triste, desolante, che mi fa rimanere male, capisco che in passato era stata trafugata due volte, capisco che i parenti di Ian probabilmente non vivano più da queste parti (compresa la figlia Natalie), ma c’è davvero una piccola pietra, un vaso con fiori appassiti, una foto che lo ritrae molto giovane, una rosa nera ed un vasetto rovesciato dal vento. Mi chiedo se Ian non meriterebbe una maggiore considerazione, magari anche da parte del comune, dei responsabili del cimitero, mi fa molta tenerezza pensare a come sia stato dimenticato proprio qui, nella città in cui ha vissuto anche nel periodo di maggiore successo con i Joy Division.

Dico una preghiera, restiamo in un silenzio rispettoso e poi, senza voler in nessun modo danneggiare nulla o mancare di rispetto, invece che appiccicare un adesivo plastificato che ho portato con me (riguardante il mio libro ed i Joy Division), lo infilo nella terra del vaso principale accanto alla foto di Ian sperando che non voli via troppo presto e che rimanga lì almeno per un po’, un piccolissimo segno per fargli capire che gli sono vicino, che sono venuto fino a qua per lui, sfidando anche il gelo ed il vento, di certo non sono l’unico, chissà quanti fans prima di me ci sono venuti e quanti ne verranno ancora, ma per me è davvero un momento forte, tante emozioni si susseguono, ma soprattutto sono felice di aver onorato la memoria di Ian con questa visita e vi dirò che il gelo, il vento, il cielo grigio hanno reso tutto ancora più suggestivo, più vero e quasi mi ha fatto piacere aver dovuto fare questa piccola fatica per portare a termine la mia missione. E’ stato un tributo che Ian meritava, sentivo di doverglielo per quello che mi ha dato con le sue canzoni, le sue parole, il suo modo di essere e con la sua vita per certi versi così triste e tragicamente interrotta così presto.











Arriva il momento di salutare anche Ian, lasciamo il cimitero con una certa tristezza, mista ad un po’ di delusione, ma probabilmente è giusto così, come dicevo prima forse è la cosa migliore trattare Ian come uno di loro, uno della città come tutti gli altri sepolti qui, forse sarebbe stato sbagliato dargli più importanza perché alla fine era uno come noi, uno che non amava le luci della ribalta, un ragazzo semplice, introverso forse, uno che vuole solo riposare in pace. RIP IAN.

Sulla strada del ritorno torniamo al numero 77 di Barton Street per scattare foto migliori (il gentile signore non ce ne aveva lasciato il tempo) e per rivedere ancora quelle strade, mi sembra di essere dentro a quel film, mi sembra di essere in bianco e nero, il cielo di certo lo è e non promette nulla di buono quindi ci affrettiamo a tornare in stazione, ma…. In un angolino della strada noto una piccola freccia indicante un negozio di dischi “Vinyl Planet”, non posso far finta di niente e ci piombiamo lì, è bellissimo, porta azzurra vecchio stile, appena la apriamo entriamo in un posto fantastico, piccolo, ma pieno di oggetti, quadretti, oltre, e ci mancherebbe, a tantissimi vinili, noto subito qualche live dei Joy Division.




Il simpatico ragazzo mi chiede se cerco qualcosa di particolare e gli spiego di essere lì a Macclesfield per via di Ian Curtis ed allora mi propone proprio due dischi della band, un Live del 1979 al “Leigh Festival” e quello in Francia a Parigi intitolato “Bains-Douches”, inutile dire che li ho comprati entrambi (ne conoscevo già l’esistenza e non li avevo mai acquistati, ma come facevo a non farlo proprio lì, nella città di Ian Curtis??), gli chiedo poi se ha qualcosa degli Echo & Bunnymen e mi tira fuori proprio l’album che preferisco “Ocean Rain” che avevo inutilmente cercato anche nel più grande Piccadilly Records a Manchester.







Resto affascinato da questo piccolo Record Store trovato così per caso nella piccola Macclesfield, la città di Ian, ne porterò sempre un bel ricordo ed ogni volta che ascolterò questi dischi penserò a questo giorno magico, salutiamo il ragazzo, probabilmente soddisfatto di aver venduto tre dischi in un colpo solo, e ci incamminiamo, ma noto un altro particolare che non posso farmi sfuggire (e del quale avevo visto qualche foto in internet, ma non sapevo fosse lì), in pratica sopra ad un’indicazione stradale scritta su un muro ed indicante “Diversion” (deviazione), qualcuno, che come me ama i Joy Division immagino, ci ha aggiunto la parola “Joy” facendo così diventare quella scritta “Joy Diversion” facendo ovviamente un chiaro riferimento ai Joy Division.




Passando nuovamente dal centro notiamo come sia ancora più affollato, la gente non ha paura del gelo e del vento a quanto pare e questa piccola ed anonima (secondo alcuni) cittadina diventa ai miei occhi una bella, vivace e colorata città alla faccia di chi pensa con pregiudizio che certi posti in Inghilterra siano brutti e desolanti, a me è sembrata bella, nonostante piovesse e facesse un freddo cane.

In stazione noto tanti ragazzini e ragazzine “in tiro” pronte a prendere il treno per passare la domenica pomeriggio nella grande città, Manchester, mi sembra di rivedere me stesso alla loro età quando dal mio paesino andavo in treno a Milano, ma li invidio, avrei di gran lunga preferito essere stato qui.

Chiudiamo la giornata ed il weekend in giro per il centro di Manchester, andiamo pure alla Cattedrale dove mia moglie, con grande pazienza, mi scatta un paio di foto nella stessa posizione in cui venne scattata una foto storica ai Joy Division, ultimo sfizio tolto in questa mini vacanza, anche se mi sono perso ad esempio l’Epping Walk Bridge, altro punto storico dove i Joy Division vennero fotografati su quel ponte innevato, ma è un po’ troppo lontano dal centro, siamo stanchi e ci meritiamo un po’ di riposo ed una cioccolata calda da Starbucks, luogo in cui, almeno in Inghilterra secondo la mia esperienza, si può ancora fermarsi per rilassarsi, sorseggiare qualcosa di caldo e magari anche leggere un libro.










Nonostante le premesse inziali sono riuscito a fare quasi tutto quello che mi ero prefissato, ma questo è stato possibile soltanto grazie alla compagnia di Silvia, all’aiuto di James ed all’affetto ed amicizia trovate dai tifosi del  PNE, ma anche da quel signore a Macclesfield o da quegli sconosciuti alla Factory 251.

Conserverò tantissimi ricordi davvero belli di questo viaggio, tornare a Manchester, vedere dove sorgeva l’Hacienda, andare al concerto, fare il mio ritorno a Preston ed a Deepdale ritrovando tanti amici e sostenendo finalmente dal vivo la mia squadra del cuore, ma quello che mi porterò per sempre dentro è soprattutto quella piccola pietra in quel freddo cimitero a Macclesfield.

Finalmente ho reso omaggio ad un ragazzo che stimo e che nonostante tutto mi ha dato tanto. Grazie Ian.

Ah beh, sì, una cosa mi è mancata di certo, una bella e fresca Boddington!

 

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